Pri, memoria e innovazione. La scelta strategica che deve impegnare l’Edera Un modello con solide basi condivise Quale dovrebbe essere il ruolo di una moderna forza politica repubblicana, liberal-democratica? Riflessioni sul progetto di una costituente. di Widmer Valbonesi Credo che il modo peggiore di celebrare un congresso decisivo per la sopravvivenza di una gloriosa tradizione ultracentenaria, come quella del PRI, sarebbe quella di barcamenarsi in laceranti tattiche di schieramento, per decidere se allearsi con la destra, il centro o la sinistra oppure di ricercare un modello organizzativo che non poggi su un solido progetto politico e culturale. L’esperienza di questi anni c’insegna che queste forze di estrazione popolare e cattolica o socialista sono incapaci di collocare il nostro paese in una prospettiva di rinnovamento che abbia a cuore l’interesse generale del paese e il superamento della crisi in atto ormai da troppo tempo per non alimentare fenomeni che cominciano a minacciare non solo la pace sociale ma anche le basi stesse della democrazia nel nostro paese e nel mondo. Destra, sinistra e centro inseguono solo la conquista del potere e del sottopotere dimostrandosi fallimentari nel gestire la sfida che la globalizzazione ha posto in modo irreversibile alle classi dirigenti di tutti i paesi democratici ed industrializzati del mondo. Quindi il Pri deve, nel suo congresso, indicare un progetto culturale e politico originale. Un progetto repubblicano, liberal-democratico che collochi il nostro paese in un’Europa politica capace di governare democraticamente i problemi dell’economia, dello sviluppo, della coesistenza pacifica e di dare orizzonti e frontiere di speranza soprattutto ai giovani. Per fare questo occorre avere chiari la dimensione globale del problema e delle difficoltà che attraversano le democrazie e mettere in campo valori, ideali, strumenti di governo per dare soluzione ai problemi veri della gente. E poi, occorre costruire uno strumento politico per dare gambe organizzative al progetto di costituente liberal-democratica. Il primo problema da cui partire è quello di chiedersi se la globalizzazione, intesa come processo irreversibile, è governabile nella logica dei singoli Stati Nazione e se essa, anche per preservare la democrazia come livello di civiltà e di garanzia di libertà dei cittadini, non debba trovare nuovi livelli reali di controllo e di regole a tutela di tutti e soprattutto sottrarla alle logiche di un liberismo senza regole che ha determinato l’attuale instabilità mondiale e sta minacciando la sopravvivenza della democrazia. L’Europa più di altri vive questa crisi, senza una classe dirigente politica all’altezza della situazione ed in balia di logiche speculative e finanziarie senza un disegno politico economico unitario. L’Unione Europea i cui stati sono democratici può diventare un progetto politico capace di trasformare tutta la comunità internazionale in una comunità cosmopolita. Una comunità che raccogliendo il concetto mazziniano di Umanità sia capace di unire le democrazie mondiali in una ONU che si faccia carico di garantire i diritti umani su scala mondiale calpestati, oggi, troppo spesso da logiche totalitarie di governi che pur facendo parte delle Nazioni Unite sono la negazione dei principi di libertà, di democrazia per i loro popoli. Come è stato detto da diversi pensatori liberal-democratici, stiamo vivendo un periodo di POST-DEMOCRAZIA dove il concetto di democrazia come espressione e controllo della volontà popolare, che ha contraddistinto gli Stati Nazione viene quotidianamente vanificato o messo fortemente in discussione. Nella sostanza, il popolo ha il potere di cambiare col voto il governo del proprio paese ma le decisioni sostanziali che riguardano oltre l’80% della vita economica, sociale, militare e legislativa vengono prese in livelli internazionali mai eletti dai cittadini. E’ così per il Parlamento europeo, eletto dal popolo ma che non governa, lo fa la Commissione Europea eletta dai governi dei singoli stati. Così la NATO, così il FMI, così la banca europea e le organizzazioni non governative. Cioè viene tolto al popolo il potere di controllo e quindi la democrazia non solo è disarmata ma rischia di diventare un immenso focolaio di protesta per il senso di impotenza che i popoli sentono di avere. Anche le logiche maggioritarie, basate sulla maggiore governabilità , rischiano di essere armi spuntate contro la strada obbligata presa da organismi sovranazionali non controllabili e che lasciano varchi aperti a disegni speculativi dei grandi gruppi finanziari e bancari. Se l’Europa non assume celermente le caratteristiche di quel grande progetto politico pensato da grandi uomini come Mazzini, Spinelli, Adenauer, De Gasperi, Ugo La Malfa, Delors e continua in un atteggiamento dominato dalle logiche della Germania che consente l’assoluta libertà economica calpestando i processi democratici e ogni concetto di dignità umana con politiche non solidali, ma assolutamente nazionalistiche, che senso ha rimanervi ancorati? Naturalmente la nostra adesione all’idea di Europa politica rimane valida e va perseguita come elemento prioritario assoluto della nostra politica, ma essa non può che essere fedele al perseguimento di un modello democratico che superando la logica di una democrazia dei cittadini legata allo Stato di appartenenza, vada verso forme di partecipazione e di controllo dei cittadini in un progetto transnazionale europeo e mondiale cui le organizzazioni internazionali non riescono più a dare risposte. Quindi occorre procedere celermente verso ciò che andava fatto prima dell’istituzione dell’Euro e cioè un governo politico dell’economia e della finanza europea e la ratifica di rgole fiscali e legislative uguali per tutti i paesi membri. Alla crisi della democrazia occorre rispondere con una nuova democrazia. Gli attori di questa rivoluzione democratica devono essere i cittadini e i popoli più che i singoli stati seppure uniti, e che mantengono comunque un importane ruolo se perseguiranno giustizia sociale e sostanziale per tutti. Naturalmente un disegno di Europa politica transnazionale necessita di una europeizzazione dei sistemi politici e partitici e una competenza di funzioni legislative comunitarie che veda protagonisti i cittadini e i popoli nella loro sovranità europea. Questo significa anche che gli stati devono poi adeguare la loro impalcatura istituzionale alla nuova realtà, creando un decentramento funzionale ad un disegno programmatorio sovranazionale e tagliando tutti quei livelli di spreco che si annidano nella proliferazione di enti e di organismi assolutamente inutili e polverizzati. Ma questo sarebbe anche il primo passo per dare all’Europa la forza di chiedere una costituzione democratica cosmopolita a livello mondiale che sappia ricomporre i conflitti, garantire i diritti umani e sviluppare norme e procedure contro il liberismo selvaggio e speculativo che mina la dignità umana. L’Europa potrebbe costituire il modello ispiratore di un ordine mondiale capace di accettare regole comuni e di assegnare un ruolo di rappresentanza dell’interesse generale che oggi la politica ha perso diventando nella sua disarmante impotenza la vittima di logiche affaristiche e speculative che dominano la scena mondiale umiliando cittadini e popoli. Un partito che voglia collocare la sua azione politica nel futuro e non con la testa rivolta al passato, non può che essere protagonista di questa rivoluzione culturale e politica. Se si vuole ridare ruolo democratico ai cittadini e prospettive di coesistenza pacifica e benessere ai giovani, questo deve essere l’impegno di una forza repubblicana, liberal-democratica alternativa alla protesta populista e alla ricerca del sottopotere. Queste pratiche hanno portato la gente ad arrangiarsi e non a quello spirito civico di cittadinanza, quel "patriottismo costituzionale repubblicano" che dovrebbe contraddistinguere una nazione moderna e consentire un esercizio della politica come una sfida per il buongoverno del paese. Molti intellettuali d’ispirazione repubblicana e liberal-democratica parlano di crisi del repubblicanesimo da far risalire al fatto che con la realizzazione della Repubblica veniva a diluirsi fino spegnersi quel carattere di identificazione con il concetto di patria e di identità nazionale che aveva contraddistinto la battaglia repubblicana. Quindi il rilancio di un patriottismo costituzionale inteso come identificazione in un’idea comune di valori , di senso civico , di cittadinanza , di interesse nazionale deve essere la cornice di un progetto moderno liberal-democratico e repubblicano. A noi non deve interessare troppo la sottile differenziazione filosofica tra un patriottismo costituzionale repubblicano classico, più incline a considerare la patria entro confini ristretti nelle tradizioni, e un patriottismo costituzionale più astratto e cosmopolitico dove la patria viene intesa in modo molto più ampio. A noi deve interessare l’obiettivo di rilanciare un’ identità politica e valoriale comune che crei il presupposto dell’unione politica europea. Mazzini subordinava il concetto di Patria a quello più ampio di Umanità, auspicando che il concetto di nazione sarebbe stato superato a favore di una federazione fra i popoli europei che, da un lato, avrebbe permesso la rimozione delle tensioni internazionali sanando le ferite nazionaliste e, dall’altro, avrebbe permesso lo sviluppo anche dei popoli più poveri. Contrariamente ad Hegel, che intendeva le nazioni in una naturale e reciproca competizione, Mazzini le considerava necessariamente cooperanti in nome dell’Umanità di cui ogni singola nazione è parziale manifestazione. Mazzini aveva magistralmente fatto la sintesi tra tradizione e progresso: il progresso è la tradizione ininterrotta del genere umano, come la tradizione è il suo progresso incessante. Tradizione, quindi, al fine della trasformazione della società e delle istituzioni anziché al fine della conservazione. "La coscienza individuale- diceva il grande Maestro- isolata in se stessa porta all’anarchia e la tradizione da sola porta all’immobilismo e al dispotismo". Ecco allora ben delineati gli orizzonti verso cui muovere con l’azione politica democratica e moderna. La patria in cui i cittadini di ogni singolo stato possono riconoscersi non è solo quella della tradizione e delle celebrazioni storiche e dell’identità nazionale, ma è una concezione più ampia dove l’identità e l’interesse nazionale vivono e si coniugano con l’appartenenza all’Unione Europea e alla comunità internazionale delle Nazioni Unite opportunamente rifondate e riformate. Occorre rilanciare l’idea di una sfera pubblica europea in cui i cittadini europei possano riconoscersi e in questo un sistema dei partiti su basi europee può dare un grande contributo a superare i residui delle spinte nazionalistiche e utili a costruire una "patria europea". Il PRI e il progetto liberal-democratico al servizio dei cittadini per costruire la patria europea ed offrire a società multietniche una strada che favorisca l’integrazione aldilà dei conflitti etnici e religiosi. Il populismo di destra soffia sul nazionalismo, anche in conseguenza di politiche rigorose imposte ai vari stati per la crisi economica che ha investito l’Europa monetaria, mentre la sinistra non riesce a proporre un modello europeo di scelte e decisioni politiche che rilanci un’idea di integrazione europea, coniughi rigore e sviluppo e nuovi orizzonti in cui i diritti umani e dei cittadini trovino vera espressione democratica. Tutto questo naturalmente porta la gente ad arrangiarsi, e non a quello spirito civico di cittadinanza, quel "patriottismo costituzionale repubblicano" che dovrebbe contraddistinguere una nazione moderna e consentire un esercizio della politica come una sfida per il buongoverno del paese. Le forze politiche italiane non hanno radicamento culturale e politico. Tentare attraverso escamotages tattici di fondere culture riformiste produce velleitarismo e un impoverimento tale che oggi la sinistra non solo non riesce ad essere alternativa, ma non ha nulla da proporre come elemento della sua unità se non l’antiberlusconismo. Questo rende priva di alternativa una destra non certo illuminata e coraggiosa; e l’incapacità cronica della sinistra consente alla destra di vivacchiare in una rendita di posizione che la gente vive come il meno peggio non certo come il meglio del buongoverno. Mentre nella prima Repubblica, sinistra socialista, repubblicani, comunisti, cattolici di sinistra discutevano, si confrontavano su modelli di sviluppo della società, oggi hanno perso la capacità di fare sognare i più deboli e i più moderni cioè coloro che dal corporativismo di destra e di sinistra sono paralizzati e penalizzati. Gli unici che hanno conservato memoria storica e un ruolo d’interpretazione di queste realtà che sono molto di più di quello che può sembrare, sono i repubblicani, che hanno la responsabilità storica di rilanciare questa cultura del civismo e del patriottismo costituzionale repubblicano come la risorsa vera del paese. Se noi ci facciamo inglobare nelle miserie delle politiche di schieramento, essendo tra l’altro molto deboli sul piano organizzativo e del consenso elettorale, saremmo cancellati definitivamente. Quindi la partita strategica è quella delle idee, del modello di società liberal-democratica "repubblicana" che vogliamo costruire per quell’Altra Italia, dimenticata da tutti, Europea ed occidentale, quella del merito, dell’imprenditoria sana, dello stato snello, della giustizia equa, veloce e certa, che investe sull’ammodernamento del sistema paese e sui giovani e che solo un progetto costituente nuovo può garantire, recuperando tutta la diaspora ed aprendoci ai gruppi sociali delle società aperte e contro tutti i protezionismi ed assistenzialismi da chiunque professati. Poi esiste una partita "tattica" di presenza nelle istituzioni che possiamo garantirci senza troppi vincoli, direi senza fasciarci la testa o creando problemi di ulteriori spaccature qualora non ci siano soluzioni unitarie. Direi che tutti i repubblicani fino a quando la legge elettorale o la forza del nostro consenso non ce lo consentirà, devono vivere le alleanze come un fatto "tecnico" che ci impegna per i programmi che sottoscriviamo, ma che non ci impediscono di fare politica sui contenuti, sui valori di una piattaforma liberal-democratica che rimane il nostro modello di sviluppo strategico della società italiana, a parole liberale ma, nella realtà, catto-comunista, dorotea e populista anche più che nella prima Repubblica. La presa d’atto dell’incapacità di queste forze politiche di essere una credibile fonte di riforma della società, come dimostrano le esperienze del governo Monti e del governo Letta, deve portarci tutti a trovare le ragioni di un patto fondativo nel perseguimento di quel Patriottismo Costituzionale Repubblicano che forma cittadini nuovi, ricchi di virtù civili e di visione alta dei problemi ritrovando in questo la modernità del ruolo del PRI e del repubblicanesimo quale cultura politica capace di interpretare le trasformazioni economiche e sociali e di darvi risposte con un metodo che preserva il bene comune in una visione dinamica di trasformazione e di progresso. Noi dobbiamo spiegare ai cittadini e ai giovani che la superiorità della concezione democratica e repubblicana rispetto alle visioni socialiste e popolari consiste nel fatto che essa non abbandona nella lotta per il governo i principi né ignora gli ideali. La modernità di questa visione sta nel fatto che è una visione pluralistica della società e non è ostile al fatto che nuovi ceti arrivino al potere in base al merito e al ruolo crescente che svolgono nella società in movimento. Così come nella visione dell’articolazione statale e periferica dello stato la nostra visione è articolata in enti periferici autonomi ma costitutivi dello stato democratico e decisivi al fine del buongoverno. Ma non tollera ripetizioni, sprechi, sovrapposizioni di ruoli o funzioni, mentre per la visione centralistica cattolica devono essere funzionali allo stato assistenziale o per la vecchia ideologia socialista sempre alla ricerca di contropoteri antistatali. Tutto ciò premesso quale dovrebbe essere il ruolo di una moderna forza politica repubblicana, liberal-democratica? Ruolo di una forza liberal- democratica, repubblicana ed europea Mi piacerebbe che una volta tanto discutessimo di strategia politica, uscendo un attimo dalle secche della tattica di schieramento che purtroppo ormai domina la scena del dibattito politico quotidiano proiettandoci verso il congresso. Credo che un partito, al di là degli schieramenti in cui si è collocato per ragioni storiche contingenti, debba sempre preservare la capacità e la volontà di costruire, strategicamente, alleanze fatte di idee condivise, di valori di riferimento che si collegano alle proprie origini. Certo questo dibattito è in parte condizionato dall’essere in tempi di profonda crisi e da come questa situazione si ripercuote sull’azione politica dei partiti. Il tema per un partito di sinistra democratica come il Pri non può che essere quello del riformismo moderno e liberal-democratico e quindi cercherò di definire ciò che, secondo me, significa essere riformisti liberal-democratici e perseguire contenuti riformatori. Il riformismo io credo sia innanzitutto un metodo di trasformazione continua, ma graduale, della società, quindi una cultura di governo dell’interesse generale che si esercita anche quando si svolge un ruolo di opposizione. In questo, essere riformisti liberal-democratici o riformatori, significa correggere, continuamente, le storture del meccanismo di sviluppo del paese, attraverso l’attività di governo se si è al potere, o attraverso una funzione di garanzia e di controllo verso l’interesse generale se si è all’opposizione. L’esatto opposto del massimalista che contesta, in attesa della rivoluzione, e del liberista o conservatore che si affidano al potere del mercato come elemento di regolazione dello sviluppo economico e sociale. Il risultato per i massimalisti e per i conservatori, poi, è lo stesso, perché in attesa della rivoluzione frutto delle contraddizioni del mercato, si finisce per mantenere la spontaneità che non tutela l’interesse generale, ma sempre i più forti, e le zone più ricche. Quindi essere riformatori repubblicani e liberal-democatici significa adeguare l’innovazione del meccanismo di sviluppo, preservando condizioni di giustizia sociale e di riequilibrio territoriale. In definitiva significa considerare la politica e i partiti, attraverso l’attività di governo, come gli strumenti di cambiamento della società e di indirizzo del meccanismo di sviluppo, verso forme di consumo individuale o sociale, e non solo delle sovrastrutture. Proviamo a chiederci adesso se la cultura di governo riformista repubblicana e liberal-democratica trova nell’attuale sistema maggioritario la possibilità di esprimersi o se invece la caratteristica di contrapposizione per la conquista del potere, non finisca per essere condizionata e paralizzata dalla logica di coinvolgimento delle estreme, che possono far conquistare il potere ma non governare il Paese. Una prima considerazione da fare è che se questo è vero, ed è vero, questo sistema maggioritario di fatto è funzionale solo alle esigenze delle forze conservatrici da un lato e dall’altro a quelle delle estreme. I conservatori liberisti ritrovano una loro coerenza nella sostanziale paralisi dell’attività di governo, perché comunque, tutto ritorna allo spontaneismo dello sviluppo e al mercato e quindi ad un meccanismo che difende e conserva privilegi, ma anche l’estrema sinistra perché nell’immobilismo della capacità riformatrice si difendono privilegi ed assistenzialismo, e dalle storture dello spontaneismo si traggono occasioni di movimentismo e di lotta politica. Lo stesso intervento sociale assistenziale e caritativo del mondo cattolico trova in questo sistema una sua capacità di alimentazione. Mentre per un riformista repubblicano la solidarietà è associazionismo che aiuta a rimanere liberi, molte volte per costoro è carità che abitua a diventare servi ed assistiti. In tutto questo non c’è agibilità per una cultura di governo riformatrice perché la necessità di vincere, di "tagliare prima il traguardo" - come dice Robert Dahl - obbliga ad alleanze che poi impediscono attività riformatrici di governo. Rimuovere questo sistema maggioritario quindi è il primo problema per coloro che vogliano trovare un’agibilità politica di governo riformatrice e riformista. Anche all’opposizione in questo sistema non si esercitano ruoli di controllo rigoroso e di garanzia verso l’interesse generale perché finiscono per prevalere il movimentismo e la pratica delle aspettative crescenti o promesse elettoralistiche che poi favoriscono anche pratiche clientelari in chi governa; nella sfida a chi promette di più. Farò poi alcuni esempi di come si dovrebbe essere riformisti nel campo istituzionale, economico e sociale ma prima vorrei dire che anche sul terreno della politica estera e della coesistenza pacifica un riformista è diverso ed ha caratteristiche distintive da chi predica "la pace senza se e senza ma" o la pace come semplice valore come se, nel dichiararla come aspirazione, diventasse poi una condizione reale. La pace è sempre il frutto di equilibri, di accettazione di regole comuni, di rispetto dei valori di civiltà democratica e quindi la si può garantire stabilmente solo se si rimuovono le ragioni che portano a minarne le basi e non è possibile per un democratico riformista non fare prima una scelta di campo fra chi si batte per i valori di libertà e di democrazia e coloro che quei valori calpestano impedendo ai cittadini di essere liberi, torturandoli, eliminandoli fisicamente ed armandosi di strumenti di distruzione di massa; cioè creando le condizioni di alterazione della coesistenza pacifica. Una forza politica che non abbia la capacità di dividere chiaramente la sfera dei valori e delle aspirazioni, da quella della politica reale, intervenendo per tendere a quelli, ma governando e risolvendo le situazioni reali anche se richiedono l’uso della forza, rischia di consolidare regimi dispotici e condizioni di pericolo permanente per la coesistenza pacifica e la democrazia. Se si sceglie di stare con la democrazia e i valori occidentali, stabilmente, solidamente, senza "il richiamo della foresta" dell’anticapitalismo e quindi dell’antiamericanismo che la sinistra marxista ha nel proprio DNA, al pari della dottrina cattolica, allora, c’è un argomentazione riformista da far valere nei confronti degli USA e dei suoi alleati, una ragione di polemica di una sinistra democratica che può invocare delibere dell’ONU, che può dire agli alleati che se si vuole condannare e disarmare i dittatori per crimini di guerra e contro l’umanità occorre portarli di fronte ai tribunali contro i crimini di guerra, ma bisogna poi che gli USA accettino i tribunali di guerra e li riconoscano. Si può dire che un paese leader di valori di civiltà occidentale di rispetto dei diritti umani e della tolleranza deve accettare le convenzioni internazionali sull’ambiente e rispettarle. Cioè esistono argomenti di confronto sul terreno dei valori occidentali che possono esaltare il ruolo di forze riformatrici se esse vogliono stare in campo con la loro identità e non accodarsi alla demagogia del movimentismo, del massimalismo o del moralismo religioso. Oggi non è così però perché la conquista del potere porta a fare ragioni di politica interna anche le grandi questioni di politica estera e questo non aiuta la credibilità di forze riformiste e riformatrici. Detto questo è evidente che io sto con gli USA e alleati e spero, che si possano ritessere i legami fra l’Europa politica e gli USA e dell’alleanza Atlantica e ridisegnare un ruolo dell’Onu che non sia però l’alibi in cui si coprono di fatto situazioni di immobilismo rispetto al terrorismo o alla violazione dei diritti umani, in assenza di un esercito mondiale che se ne occupi. Sinceramente non mi pare che la sinistra riformista abbia maturato questa posizione. Spesso si è fatta trascinare dalla sinistra massimalista ed estremista in rivendicazioni neutralistiche da dove il nostro paese non eserciterebbe nessun ruolo né diplomatico, né di protagonista europeista ed occidentale, ma terzomondista pur essendo collocato geopoliticamente in uno snodo fondamentale degli equilibri mondiali. Come può svilupparsi una politica riformista nell’attuale contingenza politica? Intanto facendo uno sforzo per capire che se la politica, anziché confrontarsi su ipotesi di buon governo, continua ad occuparsi di berlusconismo, di congiure, di complotti antiberlusconi o comunisti, a seconda di chi parla, il destino del paese è chiaramente di declino. La politica deve ritornare ad occuparsi dei problemi veri, capendo gli scenari nuovi in cui i cittadini e le imprese sono chiamati a muoversi e che non sono più quelli delle dimensioni locali, nazionali, od europee ma sono quelli della globalizzazione e produrre delle scelte di governo conseguenti. Da questo punto di vista è sicuramente prioritario per un riformatore liberal-democratico e repubblicano determinare condizioni permanenti di competitività del sistema paese sia a livello infrastrutturale, sia a livello della conoscenza e del sapere sia a livello istituzionale. Occorre comprendere che il nostro Paese nei prossimi cinque, dieci anni o realizza un efficiente sistema infrastrutturale e della conoscenza, oppure rischia di diventare non l’ingresso sud dell’Europa nuova, ma il SUD dell’Europa marginale e bypassato al di là delle Alpi. Così come il sapere, la conoscenza e la ricerca scientifica devono diventare dati permanenti delle politiche di sviluppo economiche e sociali di un Paese rispetto alle quali non possono venir meno le risorse, per cui, ad esempio, sarebbe sicuramente riformista, una proposta che indicasse nella media europea la quantità di risorse da destinare permanentemente alla ricerca scientifica, all’istruzione e alla formazione professionale. Tutto quello che è aggiuntivo in termini di risorse costituirebbe una sfida positiva tra chi investe nel sapere come risorsa strategica e chi invece ritiene di favorire, ad esempio lo stato assistenziale. Direi che la quota che eccede la media europea sarebbe individuabile nel tasso di credibilità riformatrice che si esprime, oltre naturalmente alla qualità del sapere che rimane una sfida continua di un riformista rispetto alla quantità livellatrice verso il basso in nome di un egualitarismo di facciata che non produce un miglioramento qualitativo e un premio al merito, caratteristiche queste della cultura catto-comunista. Il merito è un valore del riformismo moderno, anzi è la condizione per mantenere un riformismo; è il livellamento ciò che rende piatte, statiche ed incapaci di ammodernarsi le società. Esiste un riformismo istituzionale, quello che ha il coraggio di rimuovere la logica localistica e clientelare degli oltre 8000 comuni, molti di proporzioni assurde, ma che "bruciano" risorse e creano burocrazie, che impediscono di programmare sistemi d’area secondo l’interesse generale , che frenano l’ammodernamento del paese, che scatenano aspettative campanilistiche, assistenziali, mai funzionali alla qualità del servizio, spesso elettoralistiche. Ma nessuno, destra o sinistra ha il coraggio di esprimere coraggiosamente una proposta di riforma, si parla di presidenzialismo, di premierato e ognuno cerca di disegnare le istituzioni a proprio vantaggio elettorale, l’opposto di quello che dovrebbero fare forze riformiste liberal-democratiche e repubblicane cioè difendere l’impalcatura Costituzionale dei valori, propagandando quel patriottismo costituzionale etico che ispira coi principi la Carta Costituzionale, ma che poi non trova rispondenza nella pratica da parte di chi avrebbe il dovere di ispirarvisi a cominciare dalla difesa del pluralismo, dell’autonomia della magistratura e dai valori della giustizia sociale. Nello stesso tempo dovrebbero scegliere un’organizzazione dello Stato sufficientemente partecipativa ma efficiente e snella con pochi livelli e possibilmente non in perenne contrasto tra di loro come avviene oggi. C’è un riformismo sulla giustizia che va esercitato sempre contro chi la vuole utilizzare come strumento di lotta politica e chi la vuole imbrigliare , per garantirsi un ruolo al di sopra della legge che è incompatibile con le regole dello stato di diritto e della civiltà occidentale. Il rispetto delle leggi per noi repubblicani non è una limitazione della libertà, un’interferenza come intendevano i liberali dell'ottocento, ma è la garanzia della libertà altrui; quindi la violazione della legge va punita e la scontabilità della pena è il presupposto per garantire lo stato di diritto. Capisco che per un cattolico che crede nel perdono, come espiazione del peccato, si possa ritenere che i condoni, gli indulti o le amnistie, siano normali pratiche che si trasferiscono dal piano delle coscienze a quello dei campi della politica, ma questo determina delle ingiustizie colossali , non abitua al senso del dovere, alla creazione di quella virtù civile che è l’unica che tiene in piedi solidamente le società, ed alimenta fiducia o sfiducia dei cittadini verso l’organizzazione dello Stato. Quindi esiste un modo laico di essere riformisti , noi abbiamo un modo di rapportarci alla nostra coscienza che io reputo un po’ più solido, se non siamo coerenti coi nostri princìpi non abbiamo sconti o perdoni liberatòri, ma essa è sempre lì a ricordarcelo e a condizionarci, crediamo nella distinzione tra la sfera politica e la sfera della coscienza e per questo non siamo d’accordo con questa sottomissione alla Chiesa che destra e sinistra compiono per ragioni di politica spicciola, facendo pagare un ritardo di diritti civili, di libertà e di sviluppo al nostro Paese. Infine, vorrei che si rilanciasse fra le forze riformatrici politiche e sociali il metodo della programmazione e si superasse il metodo della concertazione perché il primo individua le priorità di intervento verso cui devono orientarsi le risorse d'investimento dello stato e delle sue articolazioni periferiche partendo dagli squilibri territoriali e sociali mentre la concertazione stabilizza le disuguaglianze attraverso compromessi con le corporazioni e le aree forti del paese. Un tavolo dove si discutono programmi e si confrontano idee ci interessa, ma se esso fosse, nella testa di qualcuno, la prefigurazione di un nuovo tentativo di ridurre ad uno le culture politiche all’interno di uno schema maggioritario noi siamo contrari, l’esperienza del PD e del PDL che hanno avuto queste velleità, dimostrano che non portano valore aggiunto, ma mortificano delle scuole di pensiero, rendendole piatte nella convenienza di schieramento, mentre le culture devono rimanere vitali confrontarsi alimentare il pluralismo, in questo sono valori permanenti positivi delle democrazie. Questa è la chiarezza che doveva introdurre il sistema maggioritario bipolare ? No questa è confusione che disorienta la popolazione, il 35% dei cittadini non va a votare e del restante 65% un terzo vota la protesta di piazza invocando una web democrazia che può minare le fondamenta stessa della nostra democrazia che affida al Parlamento il compito di far nascere i governi e di fare le leggi, e allora, per un riformista liberal-democratico si impone un dovere, quello di non accettare supinamente con rassegnazione un sistema che produce tanti guasti alla democrazia del nostro paese, ma deve chiedersi questo sistema ha prodotto maggiore democrazia? No perché oggi non sono i cittadini a scegliere i loro rappresentanti direttamente, ma oligarchie ristrette, le rappresentanze non sono riferite a rapporti reali ma ad equilibri di interdizione e di potere. C’è maggiore sviluppo, c’è maggiore solidarietà e virtù civile? Io credo di poter dire di no e allora un riformista democratico, liberale, repubblicano deve avere il coraggio di dire si cambia e si ricerca una terza via, non quella suggerita da Antony Giddens un po’ più liberali dei socialisti e un po’ più socialisti dei liberali il tutto condito da una maggiore capacità di affrontare secondo i bisogni crescenti le aspettative della gente, in modo da non essere in difficoltà sui temi delle tasse, della sicurezza, del Welfare alzando il livello delle promesse. Questo è ciò che in questi anni si è verificato nel paese con questo sistema bipolare imperniato sugli equivoci PD e PDL come sintesi delle culture riformiste e moderate, noi vogliamo una terza via liberal-democratica e una terza forza che esprima quella cultura politica; la cultura di governo dell’interesse generale e per fare questo deve pensare ad un progetto di Paese guidato da questa idea della politica come sfida positiva capace di affrontare e risolvere i problemi del paese mantenendo vivo un pluralismo politico, culturale e sociale che è il vero valore aggiunto di una democrazia, riformatrice, moderna e virtuosa. Quale partito? Penso che nel momento in cui il partito repubblicano diventa il perno di un progetto liberal-democratico che ha come obiettivo prioritario la costruzione di un’Europa federale, gli Stati Uniti d’Europa, debba a sua volta darsi un’organizzazione a struttura federativa capace di coinvolgere tutti i soggetti, persone, movimenti, associazioni, locali e internazionali che possono essere interessate. Se il Pri vuole diventare il punto di riferimento di questo progetto politico deve organizzare la sua struttura in modo che si capisca anche la sostanza dell’articolazione istituzionale cui fa riferimento. Allora occorre prevedere un’adesione al PRI che sia l’espressione di una visione autonomistica della società ma ancorata ad una visione nazionale ed internazionale della forza liberal-democratica che si vuole costruire. Solo così il Pri può rendere coerente l’azione politica che si sviluppa sui contenuti prima indicati partendo dal livello più vicino ai cittadini fino al parlamento europeo. Quindi federazioni regionali del Pri e del nuovo soggetto che non supera l’esistenza del PRI ma ne diventa lo strumento elettorale in Italia e nell’Europa politica che vogliamo costruire. Il PRI deve mantenere viva la sua organizzazione permanente anche se deve diventare un elemento di approfondimento politico culturale continuo. Il progetto liberal-democratico repubblicano ha bisogno di tempo per affermarsi e deve porre salde radici nel paese, sommarsi alle radici repubblicane non può essere una sorta di comitato elettorale che si riunisce quando ci sono le elezioni e seleziona la sua classe dirigente. Siccome il progetto propone un’educazione ai valori del bene comune, della libertà, dell’uguaglianza, della patria europea e mondiale, dell’interesse generale della politica, della famiglia, del volontariato vero come valore aggiunto, degli strumenti di governo di una società industriale, dei diritti civili, una visione laica della cittadinanza e dello Stato deve trovare su ognuno di questi problemi il modo di discutere e di fare sintesi attraverso gli strumenti organizzativi di partecipazione che sono la vita delle sezioni, i gruppi di studio, i convegni tematici, i dibattiti telematici ma che fanno sintesi non strumenti come i forum dove vengono riproposti tutti gli slogan della propaganda politica e non sanno fare mai una sintesi su un argomento anzi dilatano continuamente gli argomenti al punto di diventare facilmente assimilabili al populismo propagandistico più becero e deleterio. Essere laici liberal-democratici presuppone anche un metodo organizzativo e di confronto democratico dialettico che però abbia dei momenti di sintesi in cui tutti si riconoscono. Il problema poi, del ricambio è un problema fondamentale sia a livello delle sezioni dove il partito è strutturato sia dove deve penetrare in zone nuove . Tuttavia il problema del rinnovamento non deve essere un conflitto generazionale tra chi vuole entrare nel gruppo dirigente del nuovo soggetto politico o del PRI e chi invece rimane abbarbicato alle responsabilità senza mai porsi il problema del ricambio. Il partito dovrà dedicarsi in modo sistematico alla formazione di giovani quadri attraverso corsi in cui si spiegano le ragioni dell’impegno repubblicano e del progetto liberal-democratico. Il problema del ricambio non può che essere strettamente collegato alla freschezza delle idee e all’impegno professato. In questa sintesi si devono trovare le occasioni di ricambio dando spazio a giovani, donne, a persone che vogliano portare avanti con determinazione il progetto. A livello locale poi, occorre stabilire il principio secondo il quale in linea generale la presentazione delle liste deve avvenire col simbolo del partito o della federazione. Tuttavia sono ammissibili anche eccezioni appoggiando liste civiche che presentino contenuti di interesse generale e posizioni condivisibili. Pertanto il PRI dovrebbe, pian piano e man mano che la sua proposta intercetta parti della società civile, economica o di consenso dei cittadini, caratterizzarsi sempre più come un partito a base federativa, risultante dal collegamento al centro delle sezioni periferiche riorganizzate e fortemente caratterizzate su basi regionali e provinciali, con possibilità di adesione collettiva, anche simbolica di organismi, associazioni, gruppi culturali, cooperativi, di categoria, ricreativi. Questo deve avvenire nel rispetto dell’autonomia dei soggetti, organizzazioni e associazioni ma come raccordo di politiche generali e di confronto programmatico a livello locale e generale. Nessun partito del sistema maggioritario propone politiche di interesse particolare all’interno di un interesse generale del paese e nessuno si confronta se non con promesse che si sommano ad altre promesse creando il dissesto pubblico. Se nel metodo riusciamo a far discutere forze produttive e della società civile mantenendo la serietà delle proposte possibili alle condizioni del paese forse il consenso sarebbe un consenso che premia la nostra serietà ed avvicineremmo quella parte migliore della società civile che potrebbe diventare classe dirigente del nostro progetto e del paese. C’è uno spazio vuoto culturale, politico e di metodo democratico che può essere colmato dalla nostra attiva presenza. La struttura federativa poi, può offrire anche a soggetti più legati a situazioni locali, o particolari l’occasione di essere partecipi e non discriminati come in generale sono le minoranze. Il sistema di rappresentanza ad evitare che questa struttura federata contrasti con la democrazia rappresentativa degli iscritti può essere pensata in modo da dare rappresentanza simbolica nelle espressioni statutarie decisionali del partito. In tutti i casi credo, che più che un congresso a discutere di questi temi organizzativi servirebbe un convegno di studi di un paio di giorni che svisceri tutta questa problematica organizzativa e di presenza territoriale e centrale in riferimento anche alle risorse disponibili.
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